Non molto tempo fa il Ministro Poletti ci ha
ricordato, quasi ce ne fossimo scordati, che “l’articolo 18 non è un
totem.” Ora gli fa eco il Renzi. Piace sempre molto, in politica,
parlare per metafore per non affrontare le questioni nel merito; in
effetti di che si tratta? Sicuramente non di un totem, né di un mantra,
ma di un articolo dello statuto dei lavoratori. È a dir poco
sconfortante che un governo creda sul serio di rilanciare l’Italia
abolendo il diritto al reintegro nei licenziamenti senza giusta causa
(tant’è che il Presidente del Consiglio dei Ministri stesso, sensibile
com’è al richiamo dell’ambizione personale, non molto tempo fa, per
conquistare un partito che si spera stia provando almeno un minimo di
imbarazzo, si esprimeva in senso opposto a quanto fa attualmente). Non è
solo una questione di giustizia sociale, oltre che di puro buon senso –
al riguardo c’è ovviamente chi ha una sensibilità diversa, che noi non
condividiamo – semplicemente è pura fantascienza credere che ciò possa
in qualche modo risolvere il disastro economico italiano, che ha ben
altre radici.
Ma il Renzi – c’è da esserne certi – risponderebbe
prontamente che loro sono per tutelare i precari, per superare la
divisione tra cittadini di serie A e cittadini di serie B (tanto per non
farsi mancare le amate metafore calcistiche). Come no! Infatti questo
governo di grandi speranze e larghe intese, per esempio, voleva
eliminare del tutto la quota di stabilizzazioni obbligatorie dopo
l’apprendistato; per fortuna l’iter parlamentare ha reintrodotto almeno
una quota minima del 20% per le aziende con più di 50 dipendenti (e ciò
nonostante riesce ad essere peggio della vituperata legge Fornero, che
prevedeva infatti una quota minima del 30% senza distinzioni di
dimensione dell’azienda, e dal 2015 la quota sarebbe passata al 50%).
Inoltre, come se non bastasse, il governo aumenta da
uno a tre anni la durata massima dei contratti a tempo determinato senza
causale. Pone un limite però: per massimo il 20% dell’organico… e chi
sfora? Sanzione pecuniaria (no assunzione quindi) del 20% della
retribuzione complessiva per la prima unità lavorativa che eccede la
soglia, del 50% per quelle successive. Roba pesante insomma, da far
venire i brividi. Ammessi ben 5 rinnovi nei tre anni (l’iter ha
abbassato la quota di 8 inizialmente prevista dal Ministro);
precedentemente, e parliamo sempre della Fornero, era previsto al
massimo un solo rinnovo. Voleva anche abolire la formazione obbligatoria
per l’apprendistato, ma pare non ci sia riuscito.
E dopo tutte queste mosse “geniali”, per le quali la
destra liberista – giustamente – ringrazia di cuore? La disoccupazione e
il precariato sono in continuo aumento, in particolar modo quelli
giovanili, il cui abbattimento, a chiacchiere, è in cima alla lista
delle priorità del governo. Di fatto siamo, assieme alla Grecia, il
fanalino di coda dell’Europa. Inoltre il Pil cala, i consumi stentano a
crescere, molte aziende continuano a soccombere alla crisi; i giovani
laureati lasciano il paese. La maggior parte degli indicatori economici
dipinge un presente nero, e non lascia certo ben sperare per il futuro.
Il governo che doveva fare una riforma al mese prende tempo e promette
una rivoluzione in 1000 giorni (faceva brutto dire quasi tre anni). A
spese, come al solito, dei lavoratori e degli aspiranti tali.
Speriamo tutto ciò non cada nel dimenticatoio prima
delle prossime elezioni. Nel frattempo ne approfittiamo per ricordare al
Presidente del Consiglio dei Ministri che, dati alla mano, il costo del
lavoro in Italia è in linea con la media europea e che l’unica
differenza sostanziale, semmai, risiede nel fatto che, nonostante il
costo per l’azienda sia grossomodo lo stesso, al lavoratore arriva in
tasca di meno. Chiediamo quindi gentilmente al suo partito di invitarlo
non solo ad un bagno di umiltà, ma anche a studiare un po’ di più prima
di accingersi nuovamente a salvare l’Italia dal baratro. Altrimenti, se
persiste nel non esibire meriti concreti, toccherà bocciarlo. O non
funziona così?
Marco Barluzzi